Il libro come oggetto anomalo, anche

di Paolo Albani

Considerata nella sua globalità, la collezione del Signor José eccedeva di gran lunga il centinaio, ma per lui, come del resto per l’autore delle antologie di elegie e di sonetti, il numero cento era una frontiera, un limite, un nec plus ultra, o, per dirla con termini banali, come una bottiglia da un litro che, per quanto ci si provi, non potrà mai contenere più di un litro di liquido.

José Saramago, Tutti i nomi

La scelta di cento libri dalla bella collezione di Marco Carminati mi ha sollecitato queste considerazioni-riflessioni sul libro-oggetto.

«Un libro, qualunque libro, è per noi un oggetto sacro; già Cervantes, che forse non ascoltava tutto quel che diceva la gente, leggeva perfino “le carte strappate nella strada”»[1]. La sacralità del libro – lo sanno bene i bibliofili la cui ragione di vita si condensa nella frase di Mallarmé «tutto al mondo esiste per far capo a un libro» – si esprime anche attraverso la sua forma, il suo aspetto fisico, la sua corporalità.
«Quando le mie mani scelgono un libro da portare a letto o sulla scrivania, per passare il tempo in treno o per fare un regalo,» – scrive Alberto Manguel, noto in Italia soprattutto per un bellissimo Manuale dei luoghi fantastici, scritto in collaborazione con Gianni Guadalupi – «ne prendono in considerazione non solo il contenuto, ma anche la forma. A seconda dell’occasione e del luogo in cui voglio leggere, le mie preferenze andranno a qualcosa di piccolo e grazioso, oppure di grande e sostanzioso»[2].
La forma del libro ne valorizza il contenuto. Una delle figure più note e affascinanti di bibliofilo prodotte in campo letterario è il duca Jean Des Esseintes, trentenne anemico e nevrastenico votato fin da giovane agli appagamenti estetici, protagonista del romanzo Controcorrente (1884) di Joris-Karl Huysmans. A proposito di un’edizione delle opere di Baudelaire posseduta da Des Esseintes scrive Huysmans: «Questa edizione in unico esemplare, stampata nel nero vellutato dell’inchiostro di China, era stata vestita al di fuori e ricoperta dentro d’una autentica meravigliosa pelle di scrofa: scelta fra mille, color carne; picchiettata al posto delle setole e adorna di merletti neri impressi a freddo, assortiti con squisito gusto da un autentico artista. Quel giorno Des Esseintes tolse dallo scaffale l’impareggiabile volume. Se lo palpeggiava religiosamente; si rileggeva poesie che, in quella semplice ma inestimabile cornice, gli parevano più inebrianti del solito»[3]. In modo chiaro qui si mette in risalto che è la forma del libro, la sua «inestimabile cornice», a rendere «più inebrianti del solito» le poesie di Baudelaire.
Nelle «Istruzioni per l’uso» poste a introduzione di Cents mille milliards de poèmes (1961), Raymond Queneau confessa di essersi ispirato non ai giochi surrealisti tipo cadavere squisito, ma a un libro per bambini intitolato Têtes Folles, libro le cui pagine sono divise in tre strisce separabili: sulla striscia in alto è disegnata la testa di un personaggio, al centro il busto e in basso le gambe; agendo sulle strisce si ottengono combinazioni di figurine con teste e abiti differenti. L’operetta di Queneau permette a chiunque di comporre a piacimento centomila miliardi di sonetti, naturalmente tutti quanti regolari. E questo in ragione del fatto che Queneau ha scritto dieci sonetti con le stesse rime e con una struttura grammaticale tale che ogni verso dei singoli sonetti è intercambiabile con ogni altro verso situato nella stessa posizione. Per ciascun verso si avranno così dieci possibili scelte indipendenti; dato che i versi sono 14, si avranno in totale 1014 sonetti, cioè centomila miliardi di poesie. La particolarità di questa specie di macchina per fabbricare poesie è che le pagine del libro – un vero e proprio libro oggetto – sono formate da una serie di striscioline svolazzanti su cui è riprodotto il verso di un sonetto, di modo che, alzando a sua discrezione le striscioline, il lettore crea il suo personale sonetto.
Ideati per bambini dai 3 ai 6 anni sono I Prelibri (1980) di Bruno Munari. Si tratta di dodici libretti di carta, di cartoncino, di cartone, di legno, di panno, di panno spugna, di friselina, di plastica trasparente, ognuno rilegato in modo diverso; su ogni libretto un unico titolo: libro. Nelle intenzioni di Munari questi libretti vogliono mettere i bambini in condizione di familiarizzarsi con il libro come oggetto, di conoscerlo come strumento di cultura o di gioco poetico, di assimilare quella conoscenza che facilita l’esistenza. Il bambino deve memorizzare che il libro è una cosa piacevole sotto tutti i sensi: vista, tatto, peso, materiale, ecc. Dal 1949 Munari aveva iniziato a creare una serie di Libri illeggibili, libri senza testo, ma pieni di comunicazione visiva e tattile. Questi libri comunicano qualcosa attraverso la natura della carta, lo spessore, la trasparenza, il formato delle pagine, il colore della carta, la texture (trattamento per rendere ruvida una superficie liscia), la morbidezza o la durezza, il lucido e l’opaco, le fustellature e le piegature. Un libro illeggibilecomunica se stesso e non un testo che gli è stato stampato sopra: ad esempio, fa notare Munari, un libro di carta da lucido, quella usata da architetti e ingegneri per i loro progetti, dà un senso di nebbia: sfogliando quelle pagine è come entrare in luogo avvolto nella nebbia.
Anche i libri ri-creativi di Munari, come i Cents mille milliards de poèmes di Queneau, si ispirano a un principio di interattività: un «libro illeggibile si può usare aprendo le pagine a caso, cominciando dove si vuole, andare avanti e tornare indietro, per comporre e scomporre ogni possibile combinazione»[4].
Sotto questa luce i libri di Munari si presentano come dei veri e propri oggetti d’arte, e in quanto tali appartengono al genere dei libri-oggetto. La storia del libro-oggetto o libro-scultura o scultolibro è abbastanza recente. Com’è noto essa ha inizio con le avanguardie storiche nei primi anni del Novecento, in particolare con i futuristi. In uno scritto del 1910, La guerra elettrica, Filippo Tommaso Marinetti afferma che gli uomini del futuro potranno scrivere su «libri di nickel». E ancora nel manifesto L’immaginazione senza fili e le parole in libertà (1913) precisa: «Io inizio una rivoluzione tipografica, diretta contro la bestiale e nauseante concezione del libro di versi e dannunziana, la carta a mano seicentesca, fregiata di galee, minerve e apolli, di iniziali rosse e ghirigori, ortaggi mitologici, nastri da messale, epigrafi e numeri romani. Il libro deve essere l’espressione futurista del nostro pensiero futurista».
In una lettera a Marinetti del 1915 Corrado Govoni scrive: «Perché non fare dei libri che si aprono come organetti macchine fotografiche ombrellini ventagli? Sarebbero oltremodo adatti per le parole in libertà. Io sono oltremodo entusiasta di quest’idea e tu mi dovresti accontentare perché anche tu sei arcistufo e nauseato delle forme bestiali dei libri comuni».
L’auspicio di Govoni non viene disatteso: fra le numerose forme stravaganti che il libro-oggetto prende nel corso della sperimentazione artistica sul libro, soprattutto a partire dagli anni sessanta del xx secolo, praticata da movimenti quali Fluxus, la Poesia visiva e concreta, la Narrative art e altri ancora, troviamo un libro a forma di ventaglio opera dell’artista americano di origine ceca Barton Lidicé Beneš, un esemplare unico, come sono spesso i libri-oggetti, intitolato Aloha Evelyn (selected parts of letters from Aunt Evelyn, volume 58) (1981).
Non più «portatore di informazioni», bensì «produttore di sensazioni», il libro-oggetto sollecita i sensi: vista, tatto, olfatto, gusto, udito. I materiali usati per realizzarlo sono i più disparati: marmo, onice, legno, stoffa, ferro, plastica, vetro, terracotta, sughero, tufo, cemento armato, ecc.
Le manipolazioni – o forse si dovrebbe dire meglio i maltrattamenti, le angherie, i soprusi – cui il libro è sottoposto dagli artisti che ne contestano il più delle volte il decadimento a merce nella società capitalistica sono molteplici, in certi casi fortemente lesive della sua integrità: ci sono libri-oggetto bruciati, tagliati, accartocciati in più punti, con pagine strappate, altri che portano i segni dei proiettili di pistola che li hanno attraversati (Sette colpi di pistola di Marcello Diotallevi). Un modo per annullare la comunicabilità del libro legata alle parole stampate sulle proprie pagine è di renderlo illeggibile, in senso letterale, fenomeno che lo trasforma da luogo di trasmissione di idee e di esperienze umane in un oggetto dalla forma bizzarra, in un ossimoro estetico. Le tecniche per attuare questo sadico proposito di azzeramento linguistico sono diverse: si va dalla cancellazione di un testo esistente (Emilio Isgrò) alla sottrazione dello spazio dedicato alla stampa lasciando solo i margini bianchi delle pagine (Il libro dimenticato a memoria di Vincenzo Agnetti); dall’uso di grafie incomprensibili, enigmatiche (le «Eigenschriften», scritture asemantiche di Irma Blank) alla raffigurazione del linguaggio con elementi materici quale il filo di cotone (Maria Lai) o con dei buchi al posto delle parole (come nel libro di marmo della Mirella Bentivoglio Il cacio è il mondo, i buchi le parole).
Un esempio significativo di libro non leggibile è Life and Work (1962) di Piero Manzoni, un libro di sole pagine bianche di cui esiste una versione del 1969 stampata da Jes Petersen a Berlino in 100 esemplari, fatta di soli fogli trasparenti.
Fra le scelte drastiche e suggestive di illeggibilità ci sono quelle architettate da Mario Mariotti con il suo Libro circolare (1968) che ha il dorso completamente circolare, cosa che ne rende problematica la lettura, e da Maurizio Nannucci il cui libro Universum (1969) ha una rilegatura in pelle blu che si avvolge sulle pagine del libro stesso dando origine a due dorsi.
Abbiamo detto che un libro-oggetto può essere fatto dei materiali più strani, inconsueti: quando si tratta di sostanze commestibili, il libro diventa mangiabile. «Un editore tedesco», afferma Matteo Cuomo, «ci ha promesso che fra un paio d’anni metterà in vendita un giornale mangiabile. Invece della carta, egli userebbe una pasta nutriva e gradevole che si presta assai all’impressione, e l’inchiostro sarebbe surrogato da uno sciroppo deliziosamente profumato»[5]. L’atto o la consuetudine di mangiare i libri (cartacei) si chiama bibliofagia. I bibliofagi possono essere distinti in due categorie: i bibliofagi per scelta deliberata e quelli per costrizione, cioè che vengono puniti da un’autorità a mangiare un libro[6]. Nel 1976 Carlo Belloli ha realizzato dei poemi commestibili offerti dallo studio Santandrea di Milano in occasione dell’esposizione «Omaggio a Carlo Belloli precursore della poesia visuale e concreta». Questi poemi, scrive Belloli, «potevano considerarsi “pagine d’artista” e vennero divorati dagli invitati alla vernice della mostra come parole di dessert»[7].
Forse però, in conclusione, la forma più bizzarra che un libro-oggetto può assumere è quella che aderisce, si associa al corpo umano, è il libro a forma di uomo. Racconta Manguel: «Quando avevo dieci o undici anni, a Buenos Aires, un insegnante mi dava lezioni private di tedesco e di storia europea. Per migliorare la mia pronuncia, mi faceva imparare a memoria poesie di Heine, Goethe e Schiller, e la ballata di Gustav Schwab Der Ritter und der Bodensee […] Mi piaceva imparare le poesie, ma non capivo di quale utilità avrebbero potuto essermi. «Ti terranno compagnia il giorno in cui non avrai nessun libro da leggere» disse il mio maestro. Poi mi raccontò che suo padre, ucciso a Sachsenhausen, era stato un celebre studioso e sapeva a memoria parecchi classici; quando era in campo di concentramento si era offerto come “biblioteca” affinché i suoi compagni di prigionia potessero “leggere”. Immaginavo il vecchio in quel luogo implacabile, opprimente, disperato, mentre qualcuno gli si avvicinava per chiedergli Virgilio o Euripide, aprire se stesso a una certa pagina e recitare le antiche parole per i suoi lettori senza libri»[8].

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[1] Jorge Louis Borges, «Del culto dei libri», in Tutte le opere, a cura di Domenico Porzio, volume primo, Mondadori, Milano, 1984, p. 1010.
[2] Alberto Manguel, Una storia della lettura, Mondadori, Milano, 1997, p. 135.
[3] Joris-Karl Huysmans, Controcorrente, Garzanti, Milano, 1982, pp. 146-147.
[4] Bruno Munari, Da cosa nasce cosa, Laterza, Roma-Bari, 19993, p. 222.
[5] Matteo Cuomo, Nel mondo dei libri: bizzarrie, Quinteri, Milano, 1912, pp. 375-376.
[6] C’è una voce dedicata a questa stravagante passione nel Vocabolario bibliografico di Giuseppe Fumagalli, edito da Olschki, Firenze, 1940, p. 48.
[7] Gino Gini e Silvio Zanella, a cura di, Pagine e dintorni. Libri d’artista, Civica Galleria d’Arte Moderna di Gallarate, Gallarate, 1991, p. 15.
[8] Alberto Manguel, Una storia della lettura, cit. , p. 74.